La Santarella alla X edizione del Concorso Leone!!

Pubblichiamo con piacere cinque testi, due poesie e tre racconti, che hanno partecipato alla X edizione del Concorso Letterario Cataldo Leone, un concorso intitolato allo stimato e compianto professor Leone, che molti dei nostri docenti hanno conosciuto durante i loro studi liceali.

Al concorso la nostra scuola ha partecipato già dalla prima edizione, 10 anni fa. I primi due testi pubblicati, “Immigrazione” di Rossella D’Introno e “Il grande ponte” di Tristano Martinelli, si sono classificati al 1° posto per la sezione Poesia e al 2° posto per la sezione Prosa.

Ha poi ricevuto il premio Proloco la poesia intitolata al prof. Leone, a cui questa decima edizione è stata dedicata.

Una menzione speciale hanno ricevuto l’elaborato “Il sogno di un delfino” di Antonella Petrone e “La vita è un soffio” di Nicole Cimadomo.Li pubblichiamo con le relative motivazioni della giuria per la menzione ricevuta.

La nostra scuola è stata premiata quest’anno anche per l’elevato numero di elaborati presentati, e di questo noi del S@ntarellino siamo fieri!

Immigrazione

 

Con le nuvole e il vento, in mezzo al mare

Senza un pezzo di pane da mangiare.

Su una piccola barca, con tantissima gente

In preda al panico nella loro mente.

Senza sapere cosa fare.

È ancora un’incognita dove andare.

Le onde si alzano e non si fermano,

soffrendo per giorni per un futuro arcano.

Navigando per giorni senza sosta

Senza mai toccare terra e la nave non accosta.

Freddo e fame si fanno sentire,

riuscire a sopravvivere per non morire.

Con poche speranze ormai da abbandonare,

con l’ultimo fiato sperare e lottare.

Si aspetta un ordine per farli sbarcare,

per aiutarli a non farli affondare.

Rimangono in alto quelle mani disperate,

le uniche che chiedono: “Per favore non sparate!”

andando incontro a tanti Paesi,

nessuno accetta gli ospiti inattesi.

Forse è inutile sperare ancora,

che anime disumane aiutino a salvare.

 

Rossella D’Introno, classe II B Scuola Santarella, a.s. 2018/19


Quel grande ponte

 

Quella sera il piccolo Luca non riusciva a dormire: era impaziente della partenza per Genova (dopo una settimana in Francia per motivi lavorativi dei suoi genitori) per visitare la città e soprattutto visitare l’acquario. Luca era un bambino e amava la natura tanto che per lui la cosa più importante era solo l’acquario. Luca era contento di passare finalmente una giornata con la sua famiglia dopo i giorni impegnativi che i  genitori avevano vissuto. Con loro sarebbero venuti anche i nonni di Luca, i suoi nonni preferiti che volevano tanto bene al loro nipotino. Insomma Luca non vedeva l’ora di partire. Il giorno dopo i bagagli vengono preparati e tutta la famiglia sale in macchina. Luca era molto stanco ma se c’è una cosa che amava fare era soprattutto osservare la strada durante quei viaggi lunghi, e quello era stato un viaggio molto lungo. Per il piccolo tratto di strada fatto in macchina Luca vedeva campi, animali al pascolo e tante, tante case una diversa dall’altra. Poi arrivarono in aeroporto.

Il ponte Morandi com’era

Luca non era mai stato in un aeroporto ma gli sembrava fantastico: non aveva visto mai così tanti aerei in un solo posto. Dopo qualche ora anche lui e la sua famiglia salgono in aereo e si decolla. Per Luca fu un’esperienza fantastica: in poche ore erano passati dalla terra colma di campi al cielo colmo di nuvole bianche. Luca non sapeva quasi niente di Genova e perciò suo padre durante il tragitto gli raccontò la storia di un certo ponte. Un ponte? A Luca i ponti piacevano ma non per come erano fatti ma soprattutto per cosa c’era intorno. Luca si aspettava un’enorme foresta e un enorme fiume sotto il ponte. Una scena fantastica e Luca volle saperne di più. Scoprì che questo ponte era molto grande e lungo e fu costruito e progettato da un importante ingegnere: Riccardo Morandi. Questo enorme ponte fu chiamato ponte Morandi ed esso  passava sopra il torrente Polcevera. Esso univa l’Italia con il sud della Francia. Luca per un po’ ascoltò suo padre ma qualche volta la sua attenzione si fermava per guardare le nuvole.

Dopo un po’ l’aereo atterrò e Luca se ne accorse solo quando non vide più le nuvole ma solo l’asfalto grigio. La sua famiglia prese subito un’auto a noleggio e, dopo una sano pranzo, partirono verso Genova. Luca non vedeva l’ora e chiese a se stesso come poteva essere questo ponte: sarà forse il solito ponte grigio? Sarà per caso il solito ponte dove sotto c’è un torrente sporco e milioni di edifici? Tutte queste domande entravano e uscivano dalla sua testa quando i suoi pensieri furono frenati dalla vista di un’enorme e strana strada che si reggeva sul vuoto: era il Ponte Morandi. Luca era emozionato ma deluso allo stesso tempo. Sotto il ponte non c’era niente di interessante, solo tanti edifici gialli e grigi, un piccolo ruscello completamente verde e sporco e tante, tante macchine in un ingorgo ingestibile. Luca aveva le vertigini per come quel ponte era alto e immerso nel vuoto. Improvvisamente Luca sentì uno scoppio e anche i suoi genitori e i nonni lo sentirono. Luca vide la gente, che da quell’altezza era piccolissima, affacciarsi dai balconi, prendere il telefono e filmare il ponte.

Luca pensò che solo nei film di fantascienza poteva accadere ma quel vuoto sotto il ponte si fece più intenso e stranamente il ponte si abbassò e lentamente iniziò a dividersi in due.

Sentì i genitori e i nonni urlare e, in quel momento, Luca vide la gente che, nelle altre auto, cercava di salvarsi gettandosi dalle macchine. Luca vide l’auto volare anzi atterrare verso il basso insieme a macerie ed enormi pezzi di quel famoso ponte. Sentì i suoi parenti urlare il suo nome e recitare il più velocemente possibile un Padre Nostro.

L’auto, insieme a pezzi di ponte ed enormi camion, precipitò e si scagliò contro l’acqua del torrente. Luca in pochi secondi si ritrovò sott’acqua ma suo padre lo prese e cercò di abbracciarlo più forte che poteva. Lui però non vedeva solo suo padre ma gli ritornavano in mente frammenti di immagini della sua mamma sempre impegnata con il lavoro, il sorriso di sua nonna e la sua mano sempre pronta ad accarezzarlo e il volto simpatico del nonno.

Alzò lo sguardo e vide tantissime auto e camion pronte a cadere sulle loro teste. Luca cercò di avvisare suo padre e di liberarsi dal suo abbraccio che ora si faceva più intenso. Luca era piccolo ma per tre secondi riuscì a pensare alla propria famiglia, ai campi che aveva visto e alle nuvole soffici, grandi e bianche poi guardò per l’ultima volta suo padre.

Sentì le urla delle persone che guardavano la scena e le urla di chi stava morendo, ma Luca e suo padre lanciarono un urlo di amore e di speranza disfatta da pezzi di ponte e da auto colme di gente.

Questa qui è una storia che ho inventato io, una storia che ci fa riflettere e ci mette nei panni di quelle persone che, nella loro vita normale, non si sarebbero mai aspettati di terminare una gioiosa vacanza con l’immagine della morte. Il crollo del ponte Morandi è stata una catastrofe che ha portato alla morte di ben 43 persone il 14 agosto 2018 alle ore 11:36. Tra le vittime ci sono state persone che erano con le loro macchine sul ponte e persone che abitavano nelle case sotto questo ponte. Per me la cosa più terribile è che in pochi giorni questa strage è stata dimenticata, cancellata dalla memoria. Il giorno dopo tutti i paesi italiani, invece, hanno iniziato a preoccuparsi per la sicurezza dei propri ponti.

Ormai però tale strage è avvenuta ed è accaduto a causa di modalità di sicurezza e di manutenzione errate. Il ponte Morandi ora non è un ponte ma un altare della memoria per ricordare questa terribile strage. La storia di Luca è una storia che finisce per ben 43 persone, infatti sono 43 i morti tra cui uomini, donne e anche purtroppo bambini. Ora quel ponte è ancora lì: distrutto, abbandonato e spezzato. Spezzato come il cuore di quelle persone in una giornata per loro normale, finita con una morte crudele.

Il ponte Morandi  era diventato solo un grande ponte per ricavare soldi, ma ora quel ponte è piccolo, piccolo di memoria da cui non si può ricavare più denaro. Forse qualche persona si ricorderà di questa strage mentre altre si ricorderanno solo di come quel ponte era fruttuoso economicamente, di come era grande quel ponte.

Tristano Martinelli, classe III A Scuola Santarella, a.s. 2018/19

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Cataldo Leone

 

Eccolo qui Cataldo Leone

che per tutti i suoi alunni fu un cicerone.

Nei suoi occhi come il mare

tante cose potevi imparare.

Quando lo ascoltavi

nelle sue parole ti cullavi

e con il suo sguardo penetrante

nulla era più importante.

Con le sue grandi orecchie che ascoltavano

e i tanti discorsi che incantavano

dalla sua bocca così carnosa

di belle parole ne uscivano a iosa.

Insomma era un giovincello

che assomigliava a Pirandello.

Per lui l’abbigliamento

era solo un abbellimento

invece la poesia

era la sua mania

e la cultura

la sua natura.

Oltre ad essere un buon professore

era anche un buon autore,

di tutte le arti si occupava

e per il suo Paese si prodigava.

 

Sara Rignanese, classe I D Scuola Santarella, a.s. 2018/19

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Il sogno di un delfino

 

Un tempo il mare in cui vivevo era un paradiso infinito: le acque pure, cristalline erano come un vortice di colori dalle cangianti sfumature; il vento soffiava leggero, sembrava essere anche lui di buon umore; nell’aria si sentiva una dolce melodia e tutti erano felici; di notte il riflesso delle stelle che risplendevano più dei diamanti era una vista favolosa!

Il mare era popolato da pesci di ogni tipo, forma o colore: ognuno nuotava libero come una candida nuvola bianca vagante nella grande distesa azzurra del cielo.

Insomma tutto era così incantevole e perfetto!

Ma era troppo presto per dirlo.

 

È già da un po’ che il mare non è più come prima, è completamente diverso: si è trasformato in un inferno. Adesso tutto è cambiato, di tanta perfezione ed armonia non rimane quasi nulla…

Acque sporche e cupe come la notte, nell’aria odori putridi e malsani, in superficie sostanze galleggianti sconosciute: una visione terrificante…

Nessuno è felice, tutti siamo molto tristi e malinconici. Prima nel mare c’erano animali di diversi colori come azzurro, giallo, rosso, verde, viola: tutti rappresentavano un’emozione. Adesso, invece, siamo tutti neri, grigi, senza colori né emozioni, a parte la rabbia e la tristezza. Siamo passati dalla felicità al dolore, dal dolore alla rabbia che poi si è trasformata in tuoni, fulmini e tempesta. Il vento ora soffia forte, anche lui è arrabbiato, proprio come noi.

E questo è solo l’inizio.

 

Giorno dopo giorno noi, impotenti, vediamo accumularsi tanta spazzatura, vediamo morire tanti nostri amici. E tanti di noi rischiano di scomparire dalla faccia della terra.

Ora il mare contiene solo acqua nera e rifiuti, è diventato un bidone in cui gli umani gettano quello che passa per la testa: ad ogni tuffo mi imbatto in residui di plastica, bottiglie, reti da pesca, sacchetti…

 

Non sapete, voi umani, che qualsiasi oggetto in plastica potrebbe farci morire soffocati? Non sapete che alcuni di noi mangiano sacchetti scambiandoli per cibo? Non sapete che tutto questo accade per colpa vostra?

Vorrei sprofondare, pur di non vedere come è ridotta la mia casa, la nostra casa

Ormai è la fine, nessuno riesce a combattere contro tutti questi mostri inquinatori, sono anche più brutti degli squali. Chi pensa a noi, alla mia famiglia, ai miei amici e a tutti i poveri abitanti del mare? Io non posso fare nulla, mi sento così inutile.

Alla fine… non sono un coraggioso pesce spada

né un forte barracuda

né una grande balena

né tanto meno un potente squalo,

sono solo un povero, innocuo, indifeso… DELFINO.

Ma neanche un pesce spada, un barracuda, uno squalo potrebbero salvare la nostra casa!

 

Che stanno facendo quegli umani sulla barca? Allontaniamoci, vogliono catturarci!

Hanno tra le mani una grande rete, a maglie strettissime. Non ci posso credere…

Aspettate…

Stanno raccogliendo rifiuti dalle acque del nostro mare?!?!

La rete è colma, pesante da tirar su.

Certo, il nostro non è più un mare. È un mare di plastica.

Andiamo a vedere, avviciniamoci, non dobbiamo aver paura.

Vogliono aiutarci. Sono nostri amici!

Allora c’è una speranza. Non dobbiamo mai arrenderci, possiamo contare su qualcuno!

Il mio sogno potrà ancora avverarsi, un giorno: il sogno di una nuova vita in un posto migliore,

 

IL SOGNO DI RITROVARE IL MIO, IL NOSTRO PARADISO PERDUTO

 

Antonella Petrone, classe I C Scuola Santarella, a.s. 2018/19

Dalla motivazione della giuria per la menzione:

 

“[…] allora il delfino, ovvero l’alter ego dei nostri giovani, riscopre la fiducia in un mondo migliore, nel quale possa avverarsi, come scrive l’autore del testo, ‘il sogno di ritrovare il mio, il nostro paradiso perduto’.”

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La vita è un soffio…

 

“Attenta mamma!”

Buio. Freddo. Dolore.

Mi svegliai dal coma e sapevo esattamente dove mi trovassi e perché. Avrei tanto voluto che la mia mente avesse rimosso tutti gli eventi, avrei tanto voluto che quello stato di perdita della conoscenza e sensibilità durasse per sempre invece… Sì, avrei voluto chiudere gli occhi e non aprirli mai più. La realtà superava ogni forma di fantasia e di orrore. “Mamma, sono a casa!”

Ero stata impegnata a scuola fino al tardo pomeriggio per il corso di recitazione a cui avevo aderito solo perché la parte di Romeo era stata assegnata a Mike, il ragazzo più popolare del liceo, ed io volevo essere la sua Giulietta e non solo sul set. Mi ero impegnata tanto e alla fine avevo ottenuto la parte, sbaragliando tutte le altre aspiranti pretendenti.

Mia madre era già tornata dall’ufficio presso cui lavorava, mentre mio fratello Robert giocava in salotto con la sua squadra di disgustosi alieni. Mio fratello aveva sei anni, era in prima elementare ma dentro di lui si nascondeva un piccolo genio. Era vispo, vivace e tanto intelligente. Non ci somigliavamo molto. Lui era tale e quale alla mamma: moro, occhi nocciola, con una carnagione olivastra che contrastava con la mia così pallida. Io somiglio molto a mio padre: come lui, ho due grandi occhi azzurri e i capelli rossi. Ovviamente il mio viso è cosparso di piccole efelidi. A mia madre piaceva molto il cartone animato “Anna dai capelli rossi”, così decise di chiamarmi Hanna con l’acca. Sono una ginnasta e quel giorno avevo un’audizione per entrare nella squadra femminile di una nota associazione sportiva. La mia mamma mi accolse con uno splendido sorriso, anche se aveva l’aria stanca. Lei era davvero bella nonostante avesse abbondantemente superato quarant’anni. Si era già messa in modalità mamma, ovvero tuta e scarpe ginniche. “Hanna, prendi la sacca, chiama tuo fratello e andiamo, altrimenti faremo tardi!” disse. “Infatti mamma, arriveremo tardi!”

Ero sempre più ansiosa. In auto sistemai Robert sul sedile posteriore e mi accomodai sul sedile davanti. Cominciai a mangiucchiarmi le unghie dal nervoso, finché la mamma mi disse “Hanna, respira… comunque vada sarà un successo!”

Un attimo e… “Attenta mamma!”

 

“Respira, Hanna, respira!”. Era il mio papà, pallido come un lenzuolo a scuotermi in quel letto che sembrava inghiottirmi. Mio padre era sempre via per lavoro ma è un brav’uomo. A volte mi arrabbiavo con lui perché sembrava preferire il lavoro a noi, ma poi crescendo avevo capito quanto fosse difficile anche per lui lavorare stando così lontano.

Erano trascorsi quarantacinque giorni da quando avevo perso mia madre e mio fratello. Avevamo avuto un incidente: pare che un tizio non si fosse fermato allo stop e nell’impatto mia madre e mio fratello avevano perso la vita mentre io, dopo lungo coma, ero sopravvissuta. Sopravvissuta, ecco cosa ero. Quando tornai a casa, quella casa, che era stata così gioiosa, non poteva più essere considerata casa. La casa è dove ci sono le persone che si amano, ma lì non c’era più nessuno. Mi sentivo sola e quel silenzio era assordante. Mio padre cercava di starmi vicino e l’apprezzavo per questo, tuttavia non riuscivo a venirne fuori. Dentro di me mi chiedevo “Perché io no?”. Volevo tornare indietro, rivolevo la mia vita, la mia mamma, il mio fratellino. Non riuscivo a guardare negli occhi il mio papà, forse per il senso di colpa, forse perché non sapevo cosa dire, forse perché rimproveravo mio padre per non esserci stato sempre.

La svolta. Una notte non riuscivo a dormire, così mi diressi in cucina per bere un po’ di latte col miele, rimedio della mia mamma durante le notti insonni. Lì, chino col capo tra le mani, vidi mio padre che singhiozzava. Sul tavolo erano sparse foto della mamma, di mio fratello e alcune mie, la nostra famiglia, ormai frantumata. Fu in quel momento che capii che forse lui aveva perso anche più di me. Aveva perso l’amore della sua vita, la sua compagna e aveva perso suo figlio, una parte di se stesso. Vedere i suoi occhi fu come guardarmi allo specchio. C’erano così tante emozioni…

Quella notte riscoprii mio padre nel senso più bello del termine. Fu come se ci fossimo finalmente ritrovati. 

Indietro non si torna. Avevo giurato che non avrei più ripreso ad allenarmi. Eppure la ginnastica mi mancava; avevo trovato decine di chiamate del mio allenatore sul mio smartphone ma le avevo cestinate, rifiutandomi di richiamarlo. Quel pomeriggio invece presi una decisione.

Eccomi qui, sul podio, con un’enorme coppa in mano. È la prima coppa che vinco da quando sono entrata nella squadra femminile dell’Olimpia. Accanto a me le mie avversarie si congratulano per la mia performance, ma io stento a comprendere ciò che mi dicono, perché sono concentrata a cercare sugli spalti il mio papà, il quale si sbraccia per salutarmi, orgoglioso di me. Riesco a vedere il suo viso rigato di lacrime e anche il mio lo sento bagnato, ma non m’importa. Distolgo lo sguardo dal mio papà e guardo in su. Siamo a maggio e le gare si sono svolte all’aperto: spero con tutto il cuore che anche la mamma e mio fratello stiano gioendo per me in questo momento. Quel cielo avrà ormai due stelle in più, i miei due angeli e, proprio mentre li penso, vengo attratta da un fascio luminoso. È un attimo. Sembra quasi un sorriso. È il suo sorriso, il sorriso della mamma, così splendido, così luminoso. Vedo papà raggiungermi e prendermi fra le braccia.

E penso “La vita è un soffio, ma noi, mamma, siamo ancora una famiglia!”

Nicole Cimadomo, classe I D Scuola Santarella, a.s. 2018/19

Dalla motivazione della giuria per la menzione:

“[…] La vittoria della vita sulla morte: questo il messaggio efficace e positivo che ci comunica il testo, che coniuga la tensione di una vicenda estremamente dolorosa con l’entusiasmo di chi riscopre, in un crescendo di emozioni, la positività dell’esistenza. La storia è esposta in forma estremamente fluida, alternando sapientemente flashback e narrazione dell’esperienza vissuta.”

 

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