Concorso Giornata della Memoria 2023 – “Fiori, farfalle e rondini a Terezin”

A.N.P.I. di Corato, SEZIONE “MARIA DIAFERIA”

Il 27 gennaio 2023 io insieme ad altre compagne della II e della III d ed alle professoresse Rosa Campione e Tina Montaruli  della scuola “Santarella” ci siamo  recati presso il Liceo classico “A. Oriani” in occasione della premiazione degli elaborati vincitori del concorso “Fiori, farfalle e rondini a Terezin” indetto dall’ A.N.P.I (Associazione Nazionale Partigiani d’ Italia) di Corato.

La nostra docente di Lettere, durante le vacanze natalizie, ha invitato noi alunni della II e della III D a produrre un elaborato a nostra scelta in occasione della Giornata della memoria che avesse come tema le difficili condizioni di vita dei deportati nel ghetto di Terezin durante la Seconda guerra mondiale.

Per svolgere questo lavoro ci siamo dapprima documentati, venendo a conoscenza dei terrificanti e agghiaccianti avvenimenti che hanno eternamente segnato adulti e bambini, condannati a giorni di freddo e fame nel corso della loro breve e infelice vita.

Visto il “forte” tema del compito, l’abbiamo svolto con tanta attenzione e dedizione provando ad esprimere il dolore e la sofferenza delle vittime della Shoah con testi narrativi, poetici e rappresentazioni grafiche.

Questa occasione ci ha permesso di ampliare le nostre conoscenze su importanti avvenimenti che hanno segnato la storia del mondo per permetterci di non dimenticare gli orrori della guerra e di non commettere più gli stessi errori del passato, rendendoci ragazzi consapevoli e capaci di fare le nostre scelte.

Vincere questo concorso, poi, mi ha sicuramente resa orgogliosa del mio lavoro e del fatto che fosse stato apprezzato; inoltre, sono felice di aver soddisfatto i miei professori e la dirigente, che ci hanno offerto una grande possibilità, permettendoci di partecipare a questo toccante concorso.

Durante la premiazione, alcuni esponenti dell’associazione ANPI hanno illustrato il tema del progetto e presentato tutti gli elaborati grafici, testi letterari e produzioni poetiche prodotte dai partecipanti al concorso che tappezzavano l’agorà dell’Istituto, donando a chiunque varcasse la soglia della scuola emozioni difficili da dimenticare e rendendo unica la cerimonia.

                                                                                                                                    Giulia Diaferia III D, “Santarella”, a.s. 2022/23

Premiati per il testo poetico Elisa Colasanto, Giulia Diaferia e Valeria Leone, per il testo narrativo Flavia Delfino e Giulia Marulli, per la produzione grafica Mariasole Bovio, Sofia Marinelli e Mariagrazia Strippoli.

TESTI POETICI

IL GHETTO DI  TEREZIN

Terezin, una città dicevano lì,

solo a noi la presentarono così:

piena di orrore e fame

ci trattarono peggio del bestiame.

Mangiavamo poco e male,

avevamo una fame abissale.

A parer mio la cosa peggiore

di quel posto  senza colore.

Luci spente in ogni dove,

l’appetito gli occhi non muove,

anzi li tiene chiusi e immobili

attorno a lamenti ignobili.

Lì, in quel luogo d’inferno,

c’era un rigido governo

cui non potevamo disubbidire,

o il nostro ultimo respiro poteva finire.

Di nascosto potevamo disegnare

per le paure non accavallare,

di nascosto potevamo ridere

altrimenti ci potevano uccidere.

Ma che speranze aveva

un bambino che nel buio viveva?

Che speranze avrebbe avuto

un bambino che dalla fame veniva abbattuto?

Me lo chiesi anch’io

e me lo chiedo ancora,

benché abbia detto addio

a questo posto che il male divora.

Elisa Colasanto II D, “Santarella”, a.s. 2022/23

FIORI, FARFALLE E RONDINI A TEREZIN

STRIPPOLI MARIAGRAZIA II D, “Santarella”, a.s 2022/23

Freddo, molto freddo.

L’inverno è stato poco clemente,

finalmente però, il grigio si fa chiaro a Terezin

fra gli spicchi di cielo ritagliati tra i tetti delle case affastellate.

Le rondini, come piccoli archetti neri, li attraversano

e sulla finestra una bambina rivede sbocciare i petali di un fiore,

fragili farfalle immobili ma cariche di speranza.

Il buio, il freddo, la paura viene squarciata da una nota di colore.

Il coraggio di pensare al domani rende sopportabile la sofferenza di oggi.

La fragilità di questa nuova vita

 a fatica ma con tenacia squarcia il freddo della lunga notte

 ed apre ad una stagione di speranza solo poche ore prima vietata.

Giulia Diaferia III D, “Santarella”, a.s. 2022/23

MARINELLI SOFIA. II D, “Santarella”, a.s 2022/23

FIORI, FARFALLE E RONDINI A TERESIN

Una farfalla passò di lì

e un bambino la seguì.

“Portami via con te” disse il bambino

che nella sua infanzia voleva qualcosa di carino.

La farfalla su un fiore si posò

e in quel grigio del colore portò.

Il bambino chiamò adulti e amici

e da essa uscirono pensieri felici

di libertà e di passione

che riuscirono a rendere il ghetto un posto migliore.

Lì vicino una bambina una rondine vide

che seguiva le persone e con lei un sogno condivise:

libertà e spensieratezza

e vivere con chi non la disprezza.

Le persone, ormai, tutto han dimenticato

ma con un libro qualcosa han ritrovato:

disegni e colori,

musica e proiezioni

alleviano i dolori

ma nei loro sogni e nel loro futuro rimarrà il ghetto degli orrori.

Valeria Leone III D, “Santarella”, a.s. 2022/23

TESTI NARRATIVI

Auschwitz, 20 settembre 1944

Caro Peter del passato,

ti scrivo per dirti come mi sento, cosa provo ora che mi trovo qui.

Sto male. Qui non si mangia, qui non si vive, come Terezin, penserai. Sarai sorpreso, ma a Terezin io “vivevo” meglio. Anche se dove ti trovi c’è un sacco di gente, anche se ti manca la tua casa, anche se non ti piace il cibo, a Terezin tu vivi meglio di me. Perché a Terezin dopo quelle mura si vedono i fiori, si vedono le farfalle e le rondini, ma qui si vede solo il buio, la tristezza e il dolore. A Terezin puoi leggere un libro, puoi studiare, puoi suonare il tuo amato violino e puoi recitare, ma qui per me queste cose sono impossibili. A Terezin gli adulti ti fanno credere che sia tutto normale, cercano di farti capire che dopo la pioggia c’è sempre il sole. La speranza che c’è a Terezin sembra una candela accesa. Quando sono arrivato qui, quella candela si è spenta in un attimo con un vento gelido e non si è mai più riaccesa. Non si possono spiegare le sensazioni che si provano quando da un giorno all’altro la vita monotona di tutti i giorni inizia ad essere ciò che vorresti più di ogni altra cosa. Da quando sono qui non ho più continuato a sognare ciò che tu sogni a Terezin. Perché tu a Terezin sogni il futuro, qui io sogno il passato.  A Terezin la musica non è solo musica, non è solo cultura, ma è la speranza, la ribellione e la forza di sopportare il dolore, ma qui la musica non esiste. Terezin non è un posto felice, ma a Terezin con la recitazione tu entri in un altro mondo, un mondo che, anche se vorresti fosse vero, non lo è. Per recitare hai bisogno di ricordare le emozioni felici del passato, le emozioni che provavi prima di Terezin, ma con le opere teatrali vivi anche la storia che stai recitando. L’opera di Brundibar è così simile al tuo presente e ci sono anche tutte le cose che vorresti, il gelato, il pane, le uova, il latte, il cioccolato e tanto altro. Il significato di Brundibar è che i buoni riescono a cacciare i cattivi, e spero che anche nella vita reale possa essere così.

Addio.

Peter del futuro

FLAVIA DELFINO II D, “Santarella”, a.s. 2022/23

MARIASOLE BOVIO II D, “Santarella”, a.s 2022/23

UNA FORTEZZA DI ILLUSIONI

Ma ora non posso più continuare a vivere nel passato.

Non ero più un uomo, la mia dignità era stata annullata in quei quattro giorni di viaggio. Non ero più Kurt Gerron e non lo sarei più stato. La mia personalità ora era nascosta dietro a quella divisa a righe, a quella testa rasata, a quella stella gialla e a quelle cinque cifre incise sul braccio. Un brivido attraversò il mio corpo e sapevo che a scaturirlo era il ricordo del mio trasferimento. Ricordo ancora la canna appoggiarsi fredda sulle mie scapole e le madri preoccupate che bisbigliavano ai figli di non guardare. Ricordo le orecchie che mi fischiavano, la vista appannata e il modo in cui venni spinto violentemente in un gruppo a parte nella piazza. In quel momento mi chiesi se fosse da egoisti o da realisti pensare che la morte fosse un destino migliore rispetto a quello a cui stavo andando incontro. Dopo venni portato qui, a Terezin.

Qui è tutto così normale e questo mi spaventa. La crudeltà dei soldati è mascherata dai bambini. Qui ce ne sono parecchi e tutti si impegnano a diventare i loro insegnanti. Nessuno di noi, infatti, ha intenzione di smettere di sperare in un mondo i cui futuri cittadini saranno quei bambini dagli occhi troppo giovani per essere tristi. Inizialmente mi sorpresero le innumerevoli librerie e anche la trascuranza dei soldati a riguardo della musica. Ma quello era l’inizio di ben altro, l’inizio di una bugia ben più grande, frutto delle innumerevoli bugie su cui il terzo Reich si fondava. Erano ormai passati quasi tre mesi da quando la Croce Rossa era venuta a visitare il campo, eppure tutte le strutture propagandistiche costruite erano ancora lì. “Tu” sentii una voce dietro di me, mi girai e vidi il dito di un soldato che mi indicava “seguimi”, continuò. Entrai in una grande stanza con all’interno altri due soldati, i quali iniziarono a parlare tra loro. Ero veramente così indegno delle loro attenzioni? “La propaganda sta fallendo a causa delle voci sulle crudeltà che avvengono nei campi di concentramento”, si rivolse a me uno di loro “Per questo ora abbiamo bisogno di mostrare al mondo che voi venite trattati con cura.” Riuscii solo a pensare quanto ironica fosse la cosa detta da uno che manteneva il metro di distanza da me. “Registrerai un documentario sulla vita tranquilla che vivete qui a Terezin. Sei o non sei il grande regista Kurt Gerron?” La domanda suscitò la risata degli altri due soldati: una risata colma di disprezzo e superbia. Mentre uscivo dalla stanza la guardia mi consegnò una cinepresa e iniziò a strattonarmi verso il cortile. Trovai tutti già in posizione. Li vedevo ridere e ballare attraverso l’obiettivo della cinepresa, ma era tutto una macabra finzione.

Giulia Marulli III D, “Santarella”, a.s. 2022/23

I bambini di Terezín

“Sono stato bambino tre anni fa.

Allora sognavo altri mondi.”

Hanus Hachenburg (1929 – 1943)

Il 27 gennaio di ogni anno si ricorda una pagina mostruosa della storia dell’umanità, umanità che talvolta è capace di azioni terribili, peggio di quelle delle belve più feroci.

Disegno di Andrea Redda

Durante la Seconda guerra mondiale quasi 6 milioni di ebrei tedeschi furono deportati in campi di concentramento, accusati di appartenere ad una razza inferiore. Certo questo non accadde all’improvviso, già molti anni prima erano state promulgate le leggi razziali che impedivano agli ebrei di praticare alcune professioni o di entrare in negozi e mezzi pubblici, ma nel corso degli anni la situazione peggiorò in modo inesorabile.

Fra queste persone non ci furono solo ebrei ma anche “intralci” alla comunità come anziani, disabili, omosessuali, zingari, persone con handicap, definite “indesiderabili”.

Prima di arrivare a rinchiudere gli ebrei nei campi di concentramento, questi venivano “relegati” nei ghetti, quartieri spesso recintati in cui gli ebrei erano costretti a vivere nella miseria più totale, tutti insieme, molte volte in case per due famiglie e spesso essi morivano per la fame, per le malattie o per le successive deportazioni nei campi di sterminio.

In particolare, c’era un campo a Theresienstadt (o Terezín) nella Repubblica Ceca, in cui vennero rinchiusi i più grandi artisti, musicisti e intellettuali ebrei dell’epoca, e ben 15.000 bambini!

Disegno di Velia Tedone

Questo era un “campo modello”, perché serviva a fare pubblicità ai tedeschi che riprendevano i “prigionieri” con le videocamere per dimostrare a tutti che i nazisti non erano cattivi e che non facevano del male ai deportati.

Era l’unico campo, infatti, in cui ai bambini era consentito cantare e disegnare. Però era assolutamente vietato per loro andare a scuola e studiare!

Oggi noi abbiamo i loro disegni e le loro poesie, che raccontano sogni, ricordi e desideri e tutto ciò grazie agli adulti che in maniera clandestina, essendo grandi artisti e intellettuali, facevano da maestri a questi poveri bambini e ragazzi.

Tutti i loro 4.387 disegni e le 66 poesie sono conservate oggi nel museo ebraico di Praga.

Anche se sembrano storie, sono fatti realmente accaduti, vite reali di bambini e ragazzini come noi che non potevano vivere liberamente come facciamo oggi, a cui era consentito solo ricordare il loro vecchio mondo e sognarne uno migliore. 

Anche noi alunni di I A abbiamo voluto esprimere le nostre riflessioni davanti a tali brutalità attraverso le nostre parole e i nostri disegni, con cui abbiamo cercato di dare parole a qualcosa che parole non ne poteva avere…

Questo evento terribile, la Shoah, non dovrà mai accadere di nuovo in futuro, tanta sofferenza non dovrà più esistere e per questo il 27 gennaio è una giornata importante da NON dimenticare, per non ripetere gli errori del passato!

“Il disegno di una speranza” di Giulia Terzulli

I disegni dei bambini rinchiusi a Terezín

Raccontano storie di ricordi e desideri,

desideri che purtroppo non si possono avverare

perché l’unico svago concesso era disegnare.

Non possono studiare, giocare e divertirsi

E solo quando capita possono nutrirsi.

Per farli studiare i grandi del campo

Organizzarono lezioni clandestine

E intonavano anche allegre canzoncine.

Certo tutto ciò non era abbastanza

Ma di una vita normale aveva la parvenza

E di un futuro migliore regalava la speranza

A dei bambini a cui era negato il diritto d’esistenza…

Nessun’altra persona dovrà più soffrire perché ritenuta di razza inferiore, poiché esiste un’unica razza, gli ESSERI UMANI!

Classe I A, Scuola Santarella, a.s. 2021/22

La giornata della memoria

Stop all’antisemitismo

Il Giorno della Memoria è la commemorazione internazionale dedicata alle vittime dell’Olocausto, istituita nel 2005. La ricorrenza si celebra ogni anno il 27 Gennaio, giorno in cui nel 1945 i reggimenti dell’Armata Rossa irruppero nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando i prigioneri.

Secondo me, non si dovrebbe ricordare questo giorno solo il 27 gennaio ma dovremmo ricordarlo sempre, affinché simili eventi non possano accadere mai più. Non è stato un evento che ha riguardato solo il popolo ebraico ma l’intera umanità e quindi bisogna trarre insegnamento da ciò che è accaduto.

Eppure proprio qualche giorno fa si è verificato un atto orribile e disumano, un ragazzino ebreo a Livorno è stato preso a calci e offeso da due ragazze proprio perché ebreo!

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Si tratta di un fatto o e grave, un atto imperdonabile.

Il padre del ragazzino ha denunciato queste due “persone” sperando che episodi di questo tipo non accadano mai più.

I campi di concentramento, come quello di Auschwitz, per fortuna non esistono più, ma ci sono ancora forme di razzismo, come l’episodio di Livorno, che non si riescono a sradicare.

Vorrei esprimere la mia vicinanza verso questo ragazzo, mio coetaneo, e spero in un mondo senza violenza e discriminazione. È inaccettabile come nel 2022 trovino ancora terreno fertile tali sentimenti di razzismo e antisemitismo.

Larrarte Giorgio, classe I F Scuola Santarella, a.s. 2021/22

MAI PIÙ

Riflessioni e versi su Shoa, odio, discriminazione

La data del 27 Gennaio 1945 segna la fine della persecuzione del popolo ebraico. Per ricordare questo triste e drammatico evento è stata istituita dal 2005 la “Giornata della Memoria” che si celebra ogni anno proprio il 27 Gennaio con cerimonie, incontri ed eventi per non dimenticare. Io mi chiedo: “Perché l’uomo è stato così disumano e crudele da riuscire a compiere un atto così terribile?” Mai più, mai più – ribadisco – sarebbe dovuto accadere e invece… Invece, ancora oggi, la gente continua a provare sentimenti di intolleranza, odio e aggressività verso persone definite a loro modo di vedere “diverse”. Diverse per razza, sesso, religione… non è possibile. Basta discriminazioni, basta sofferenze, basta!

Mai più vite strappate con tanta crudeltà!

La Shoah ha profondamente segnato la vita del popolo ebraico e, leggendo alcune pagine del libro di Liliana Segre, mi colpisce il dolore di questa bambina, alla quale viene sottratto il diritto di andare a scuola solo perché ebrea.

Questo popolo deve aver sofferto veramente tanto. Guardando i documentari o i film a loro dedicati non posso non notare negli sguardi di questa gente dolore, terrore e smarrimento.

MAI PIÙ, MAI PIÙ nessuno, nessun essere umano, nessun popolo deve più vivere un’esperienza così terribile, che definirei una pagina nera della nostra storia.

MAI PIÙ è la parola che voglio ripetere,

MAI PIÙ voglio dimenticare

quello che gli Ebrei hanno dovuto passare.

Oggi, giorno in cui ricordiamo,

quello che di noi non amiamo:

l’indifferenza e l’odio.

Parole che rispecchiano

dell’intolleranza e della discriminazione

ogni episodio.

Tutte le persone coinvolte

non hanno fatto nulla di male,

quindi tutte le volte

dobbiam ricordare.

Leone Aldo, Saragaglia Domenico, Di Bartolomeo Francesco

Classe 1^E, Santarella, a.s. 2020/21

La chiave di Sara

Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, ho avuto la fortuna di vedere “La chiave di Sara”, un film francese che narra la storia della di Sara, una bambina ebrea vittima dell’Olocausto.

A riproporci e a farci scoprire la tragedia della bambina, e con lei di tutto il popolo ebreo, è la protagonista del film, Julia, una giornalista americana che vive in Francia da vent’anni e che viene incaricata dal suo giornale di scrivere sui fatti avvenuti nel 1942 al Vèlodrome d’Hiver, luogo in cui vennero ammassati migliaia di ebrei parigini prima di essere deportati nei campi di concentramento.

Nel film ciò che per Julia era solamente materiale per un articolo si trasforma in una questione personale, in quanto scopre che la casa in cui deve trasferirsi è la stessa abitata da Sara e dalla sua famiglia prima della deportazione: questa è l’occasione per rivivere la storia tragica della bambina.

Sara, prima di essere catturata insieme ai genitori durante una retata nazista, aveva nascosto il fratellino in un armadio per non farlo trovare dai tedeschi e gli aveva fatto promettere di non uscire di lì fino al suo ritorno.

Riuscita a fuggire dal campo era tornata finalmente a Parigi nella sua vecchia casa e lì aveva trovato il fratello morto, ancora chiuso nell’armadio.

Questa tragedia segna per sempre la vita di Sara che si era trasferita in America, con la speranza di poter dimenticare ciò che le era accaduto durante la guerra.

Lì si era sposata e aveva avuto anche un figlio, ma, incapace di sopportare il suo atroce senso di colpa, si era suicidata, lasciando il bambino orfano a soli 9 anni.

Tutti questi fatti nel film vengono descritti in un susseguirsi di flashback, parallelamente con il presente della protagonista Julia. La giornalista riesce anche a ritrovare William, il figlio di Sara, che non sapendo nulla della vera storia della madre e rimasto scosso e incredulo davanti al racconto dei fatti, la allontana.

Solo alla fine del film i due riusciranno ad incontrarsi di nuovo, quando ormai William avrà accettato la dolorosa verità e Julia, diventata di nuovo mamma, deciderà di chiamare “Sara” la sua piccola, in ricordo  della tragica storia da lei stessa riscoperta e rivissuta.

La narrazione si muove dunque su due binari, tematici e temporali, paralleli tra loro, integrati dalla sceneggiatura ma allo stesso tempo ben differenziati dal punto di vista fotografico: scarne e fredde le immagini che descrivono gli avvenimenti contemporanei, dai colori seppiati quelle che raccontano la vita di Sara, come a voler avvicinare lo spettatore al suo punto di vista.

Questo film si inserisce tra i titoli che raccontano l’Olocausto ma in modo originale, affrontando il dramma della persecuzione degli ebrei attraverso un punto di vista diverso; pur non mostrando le atrocità dei campi di sterminio rappresenta ugualmente bene l’orrore di quei giorni, il silenzio dell’indifferenza e l’impossibilità, da parte di chi è sopravvissuto, di dimenticare e tornare a vivere un’esistenza normale.

Come sempre lo studio della storia e lo studio del proprio passato, stimolato come in questo caso dalla forza delle immagini cinematografiche, possono darci una mano a comprendere e superare le difficoltà e i pregiudizi del nostro vivere quotidiano.

Nel percorso personale di Julia, la ricerca, la scoperta e l’accettazione della verità sono indispensabili per alimentare la speranza di un futuro diverso, improntato alla condivisione di valori diversi dalla menzogna, dalla paura e dall’odio: questo messaggio di speranza si incarna nella figlia di Julia, una nuova, piccola Sara.

Rivivere gli orrori di cui l’uomo è stato capace, recuperare la nostra storia, la storia che è fatta dall’insieme di tante “storie” personali è il punto di partenza per superare i pregiudizi e le incomprensioni di oggi.

Ogni storia ha il diritto e il dovere di essere raccontata, altrimenti rischia di essere dimenticata e quando qualcosa viene dimenticato noi tutti ci allontaniamo dalla verità.

Francesco Diaferia, classe III D Scuola Santarella, a.s. 2019/2020

“La Guerra dei Grandi” nella Giornata della Memoria 2016

Mercoledi 27 gennaio 2016 tutte le scuole medie di Corato si sono recate al Teatro Comunale per vedere uno spettacolo intitolato “La Guerra dei Grandi”. Questo spettacolguerra 1o parlava del periodo della SHOAH, lo sterminio degli Ebrei, avvenuto tra il 1933 e il 1945 per volere di Hitler.  Ambientato a Roma nel 1938, all’indomani della promulgazione delle leggi razziali, racconta dell’amicizia tra due ragazze che frequentavano la prima media, Giulia Gori e Rebecca Levi. Quest’ ultima era ebrea e questo sarà il motivo per cui qualche mese dopo lascerà la scuola. Questo spettacolo per noi è stato molto bello perché ci ha fatto riflettere sulla vita difficile degli Ebrei  in quegli anni, quando Hitler parlava di loro come persone bugiarde, sporcheguerra 4, cattive e disoneste. È stato  molto commovente, soprattutto quando le due amiche scoprono di non potersi più frequentare perché una delle due è ebrea. “La guerra dei grandi” è stato uno spettacolo teatrale molto significativo, anche perché ci ha fatto pensare che se questa cosa accadesse a noi o al nostro migliore amico, sarebbe molto brutto e ci staremmo molto male. Lo spettacolo ha raccontato solo una minima parte di quello che accadeva durante gli anni della SHOAH, ma lo ha fatto in modo molto preciso, ricostruendo un normale giorno di scuola ai tempi d’oggi. Forse proprio per questo ci ha toccato così nel profondo. Lo spettacolo è stato divertente, anche se parlava di avvenimenti molto tristi, perché gli attori interagivano con noi come se noi fossimo stati degli alunni. È stato molto guerra 2divertente godersi le scenette del professore, che adorava così tanto Mussolini da, oltre che fare il saluto fascista ogni volta che lo nominava, lanciare baci verso l’alto per elogiarlo. Per quanto riguarda l’interazione con il pubblico è stato molto divertente fare finta di essere alunni di quella classe e noi alunni ci siamo molto divertiti a rispondere alle domande del professore e degli attori.

Alessio Tandoi, 1^ C e Emmanuele Diaferia, 1^ A, a.s. 2015/16